Kingdom Hearts: il tuffo nel cuore
Quel che è stato e quel che sarà la saga dei cuori più famosa di sempre
Kingdom Hearts è un nome in cui tutti, almeno una volta nella vita, ci saremo imbattuti, a meno che non abbiamo condotto l’ultimo ventennio della nostra esistenza tra le caverne e in assenza di corrente elettrica o connessione internet. La celebre serie targata prima Squaresoft e poi Square Enix, infatti, ha letteralmente spopolato tra i giocatori sin dal suo esordio nel lontano 2002, anno in cui veniva pubblicata l’edizione originale per la neonata PlayStation 2. Ebbene, nelle scorse settimane ho avuto l’incredibile fortuna di assistere al Kingdom Hearts Orchestra World Tour a Milano, evento assolutamente imperdibile per ogni fan che si rispetti, e che per primo mi ha spinto a prendere il mio PC per scrivere alcune riflessioni su ciò che questa saga ha lasciato nel cuore dei propri fan, in tutti i sensi. Non si può certamente negare che la fama che Kingdom Hearts si è guadagnata in questo arco di tempo sia meritata, e che gran parte di essa – almeno inizialmente – vada ricercata nel crossover tanto anomalo all’apparenza, quanto geniale e originale se analizzato adeguatamente.
Ma facciamo una rapida digressione, ricordando come Tetsuya Nomura abbia partorito un’idea talmente fuori dagli schemi che, proprio per tale ragione, non poteva non attirare gli sguardi dei più curiosi: lo sviluppatore nipponico, infatti, trasse ispirazione da una conversazione tra i colleghi Shinji Hashimoto e Hironobu Sakaguchi, i quali stavano disquisendo sulla possibilità di realizzare un gioco basato su Super Mario 64, ma che gli unici a poter competere con l’ingegnere di Nintendo fossero unicamente i personaggi Disney. Il character design decise così di accettare la sfida, e di dirigere il progetto. A rendere il tutto ancora più affascinante, vi fu l’incontro in ascensore tra Hashimoto e un dirigente della Disney in ascensore, al quale venne proposto proprio il progetto di Nomura. In seguito a varie contrattazioni tra le due aziende, dunque, tra cui l’intenzione da parte della casa di Topolino di inserire un protagonista facente parte delle proprie opere, si giunse alla conclusione di mettere a punto un titolo che fosse più orientato verso il gameplay, così da attrarre maggiormente l’utenza Disney. Con il tempo, tuttavia, il suo creatore iniziò ad arricchire sempre di più il comparto narrativo, per poi offrire al pubblico il primo Kingdom Hearts che noi tutti abbiamo conosciuto ed amato negli anni della nostra infanzia.
Venire catapultati in un mondo di gioco all’interno del quale realtà profondamente diverse tra loro, ovvero i classici Disney da una parte e i personaggi di Final Fantasy dall’altra, si incontrano così armoniosamente fu sicuramente il motivo principale per cui buona parte dei giocatori decise di dare una chance al titolo, ma certamente non quello che portò i fan ad affezionarsi tanto alla serie. Sì, perché a dispetto di una trama apparentemente semplice e narrativamente non così articolata, Kingdom Hearts diventa, di capitolo in capitolo, sempre più complesso e pieno di punti oscuri, i quali non possono venir svelati in assenza di un’attenta esplorazione sia nei confdonti dei capitoli principali che degli spin-off. Questi ultimi in particolare, nonostante tale denominazione, ricoprono un ruolo di prim’ordine nel caso in cui si desideri avere un quadro chiaro delle vicende che Sora e i suoi compagni d’avventura si ritrovano a dover affrontare, pertanto la definizione di spin-off è in gran parte inesatta nel caso della serie in questione. Proprio appoggiandoci a quanto detto finora, è importante porre grande enfasi sull’enorme parentesi dei cosiddetti spin-off, che hanno avuto l’onere di rappresentare una vera e propria arma a doppio taglio della serie Kingdom Hearts, che ha visto il proprio creatore divenire un costante vulcano di idee.
In seguito all’incredibile successo del primo episodio, infatti, Square Enix non si limitò alla semplice realizzazione di un secondo capitolo, ma pose le basi per esso attraverso un titolo che avrebbe fatto da ponte tra i due giochi principali: Kingdom Hearts Chain of Memories. Questo risulta assolutamente imprescindibile per comprendere appieno diverse fasi di Kingdom Hearts II, dal momento che al proprio interno vengono introdotti elementi fondamentali quali il Castello dell’oblio, l’Organizzazione XIII, Naminé e Roxas, che aggiungeranno tantissima carne al fuoco all’intera lore messa in piedi dal suo game design. In seguito alla pubblicazione del suddetto prodotto giunge dunque finalmente l’ora di accogliere Kingdom Hearts II, che viene apprezzato ancor più del suo predecessore, complice un gameplay che – a distanza di oltre dieci anni – rimane ancora fresco ed estremamente godibile. Le battute finali del secondo episodio rimarranno a lungo impresse nelle menti di tutti i giocatori, lasciandoci con un cliff hanger che per anni non sembrerà trovare risposta, complice anche la totale assenza di un annuncio riguardo un terzo capitolo.
È in questa fase che la saga di Kingdom Hearts comincia ad espandersi a dismisura, forse troppo per certi versi, andando inoltre incontro ad una frammentazione delle piattaforme da non sottovalutare in alcun modo. A cavallo tra il 2008 e il 2010 sono ben tre gli spin-off che vengono immessi sul mercato, ognuno dei quali pubblicato su una piattaforma ben specifica: Kingdom Hearts Coded su dispositivi mobile, Kingdom Hearts 358/2 Days su Nintendo DS, e Kingdom Hearts Birth By Sleep su PSP. Non possiamo in alcun modo negare l’arricchimento narrativo che il trittico in questione sia stato in grado di portare con sé, regalandoci storie emozionanti e personaggi eccellenti quali Aqua, Terra e Ventus, così come Xion, Axel e un’ulteriore approfondimento di Roxas. Coded, tra tutti, è stato probabilmente il titolo della serie passato più in sordina fra tutti, sebbene al proprio interno siamo finalmente in grado di apprendere quali siano state le parole di Topolino nell’enigmatica lettera indirizzata a Sora, Kairi e Riku.
Quel che più ha deluso gli appassionati nel corso degli anni a partire da questa sfilza di spin-off è stata chiaramente la decisione da parte dell’azienda nipponica di proseguire su questa strada, che di fatto diveniva sempre più dispendiosa in termini economici; a ciò si aggiunge una trama così piena di elementi da divenire sempre più difficile rimanere al passo, comportando un’inevitabile perdita di qualche pezzo del puzzle qualora non si decida di giocare la serie nella sua interezza più assoluta. A riprova di ciò è importante evidenziare Kingdom Hearts 3D: Dream Drop Distance, che vide la luce nel 2012 su Nintendo 3DS, e che si proponeva di fungere da connettore per il terzo capitolo principale della serie, sul quale peraltro si brancolava nel buio in assenza di un annuncio ufficiale. A completare un quadro già di per sé abbondantemente complesso e di difficile lettura, si sono aggiunti altri due spin-off volti a spremere ulteriormente un brand che, al di là dell’indubbia qualità e del valore videoludico, corre il rischio di essere appesantito fin troppo dal proprio ideatore.
Detto ciò, chi scrive ha un legame parecchio stretto con la serie protagonista dell’articolo, e assistere alle tracce eseguite da un’orchestra in cui ha preso parte persino Sua Maestà Shimomura ha smosso il suo cuore, rievocando prepotentemente i più cari ricordi dell’infanzia trascorsi in compagnia di Sora, Paperino e Pippo nei diversi mondi dei classici Disney. Ciononostante, riesaminare l’iter con una maturità ed una consapevolezza maggiore non possono non creare una sensazione di parziale delusione nei confronti della gestione della serie, fin troppo eterogenea ed eccessivamente dispersiva. Al contempo, però, proprio in virtù di un senso critico decisamente più sviluppato, bisogna altresì rendersi conto del fatto che Square Enix sia un’azienda, e che per tale ragione il suo obiettivo sia quello di portare al livello più alto possibile il proprio profitto, pur non rappresentando completamente una giustificazione delle proprie politiche. Per la fortuna di quella grossa fetta di giocatori che, vuoi perché non possedeva una console, si è persa uno dei numerosi capitoli della serie, ad oggi esistono diverse Collection dai prezzi più che abbordabili che consentono di completare il puzzle dai numerosi pezzi di cui è composto.
Il mondo videoludico difficilmente dimenticherà quanto realizzato da Tetsuya Nomura e dal suo team nel corso degli anni, nonostante in parte il ricordo verrà macchiato dalla gestione a tratti scellerata, ma in parte ragionevole se analizzate con la cruda freddezza del marketing. Va poi considerato un aspetto che fino a questo punto è stato – ingiustamente – trascurato: le gesta di Sora, in fondo, non sono poi così lontane rispetto ai tipici archetipi già visti in altri JRPG, che vedono un protagonista dall’animo puro lottare per la salvezza del mondo e dei propri amici, innamorato dell’amica e amico-rivale dell’amico. A rendere unico Kingdom Hearts, però, oltre al già citato crossover, è la capacità di agire su quel cosiddetto effetto nostalgia di cui vi abbiamo già parlato: rientrare in contatto con mondi e personaggi che hanno fatto parte della nostra infanzia sono già dei motivi più che sufficienti per sostenere un progetto di tale portata.
Oltre a ciò, bisogna considerare che il gameplay e la scrittura tanto dei personaggi quanto dell’intreccio narrativo nel suo complesso si attesta su livelli estremamente elevati. Del resto, nemmeno la lotta tra bene e male, luce e oscurità, rientra tra le novità di alcun media ormai, ma la saga dei cuori lo fa in modo interessante e mai banale. Le aspettative nei confronti di Kingdom Hearts III aumentano con l’avvicinarsi dell’uscita, e dopo oltre dieci anni di attesa dal finale del secondo capitolo non possiamo non augurarci che tutto sia al proprio posto, pronti finalmente a vedere quale sarà la degna conclusione dell’epopea di Xehanort.
Studentessa il giorno, giocatrice e Karateka la notte. Dopo essere cresciuta a pane e videogiochi appassionandomi in particolar modo al mondo dei JRPG, continuo a lottare con ogni tecnica del Karate di mia conoscenza per non impazzire del tutto mentre studio giapponese.